venerdì 21 agosto 2015

Quale Museo e quale gestione? Una opportunità o un affare di pochi?

Sono davvero curioso di sapere cosa accadrà negli anni futuri quando avremo il completo funzionamento di questo nuovo museo all’interno del Complesso Guglielmo.

Il Percorso espositivo con gli scrigni - Che cosa ci racconterà?


A mio avviso troppi progettisti si sono susseguiti e troppi interventi hanno sensibilmente manomesso la spazialità interna di questo “contenitore” piegandola alle nuove e più contemporanee funzionalità, in barba a tutti i canoni del Restauro. Sono certo che anche stavolta (alla luce dell’esiguo carteggio a disposizione) vedremo un prodotto che attirerà molti strali.

Il progetto funzionale del Complesso Museale di Monreale (PA)


Intanto mi domando se verranno utilizzate le enormi strutture impiantistiche abbandonate sotto l’Antivilla e delle quali nessuno conosce perfettamente il funzionamento. Rifletto sul posizionamento finale della Galleria Sciortino e della donazione Posabella, come sulla sua integrazione nell’intero circuito museale. Non per ultimo mi preoccupano le capacità gestionali della ipotetica società che curerà il bene monumentale. Sono più che certo che alla lunga inizieranno pesanti diatribe e recriminazioni sulla redditività del museo che non staccherà il giusto numero di biglietti per garantire personale e investimenti.



Ancora prima di arrivare a tale genere di problemi, occorre intervenire leggendo già gli attuali fenomeni in atto e svegliarsi nel comprendere la necessità di collegamenti a rete nell’offerta culturale globale, nella attrattività stessa che oggi la Galleria riesce a esprimere, nei collegamenti fisici tra Monreale e Palermo. 
A chi si chiede cosa bisogna fare quando non ci sono fondi si potrebbe rispondere con i fatti, ma c’è da dire che un politico non ama mai i tecnici e gli esperti, perché lavorano secondo la logica precipua e rigorosa del profitto culturale. Io mi metterei in gioco semplicemente mutuando il principio teorizzato e applicato in logiche industriali: Impegnarsi sul fronte della Qualità Totale. Un principio di certo estraneo ai miei amici assessori della cittadina normanna, amanti della presenza video di memoria wharoliana e che si sottopongono a produzioni “alla Frank Capra de noialtri”.

Assolutamente impensabile perché non trovo giustificazioni ad una strategia comunicativa paleolitica da “super8” adatta forse per un sottocanale di Youtube realizzato da tredicenni glabri. Di che parlo allora? E’ una filosofia che scardina la logica dei vetusti ordinamenti militari prussiani con decisioni a cascata. 

Razionalizzare, ancora per molti, equivale a disciplinare, gestire sembra sinonimo di sorvegliare. Le direttrici sarebbero autogenerate nel tentare di agevolare in primo luogo il flusso verso il “servizio” sia nel senso fisico, che per la curiosità dell’offerta culturale proposta (si spera improntata verso una rigenerazione della forma comunicativa).

L’ipotetico responsabile al tavolo di regia dovrebbe sforzarsi di capire la reale incidenza dei servizi offerti sull’ambiente circostante, sulla vita quotidiana della città, le relazioni che verrebbero generate e le percezioni che saremmo in grado di generare e in funzione di tutto ciò elaborare vere e proprie strategie “produttive” o di offerta. 
Componente fondamentale sarà quella umana, del personale all’interno della struttura, il quale dovrebbe pensare sempre in termini di sfida quotidiana a medio e lungo termine. 
Un po' come si fa dentro grandi aziende come Google, mai statiche, ma che elaborano in continuazione in uno scenario interno creativo e di febbricitante di novità. Ricercare prima e sviluppare poi le “competenze” (skills) del personale da occupare in una sede di lavoro di questo genere è importante. Operando soprattutto secondo una strettissima logica meritocratica e curricolare. 

L’approccio a una Qualità Totale avrebbe due aspetti fondamentali: da un lato il fronte della produttività, fornendo un servizio ritagliato sul target medio (opportunamente profilato) e dall’altro la capacità adeguata per essere in grado di offrire una esperienza emozionale di qualità.
Io ho le idee chiare, non sarebbe facile, ma almeno ho una precisa strada da seguire, certo che i risultati potrebbero essere tangibili efficaci e misurabili nelle fruttuose ricadute per l’intera cittadina.


Il precorso della narrazione museale


venerdì 7 agosto 2015

Cura e mantenimento dei Beni Culturali

Ci siamo chiesti più volte in seno alla nostra Redazione del perché portare avanti determinate cause e della validità delle nostre tesi, per tale ragione oggi non stilerò un articolo di indignazione ma un “bignami”, una sintesi riduttiva in cui cercherò di argomentare una tesi: perché chiudere il perimetro intorno al Duomo, al complesso Guglielmo e alle piazze è un dovere sociale, un fatto storico, una necessità e una istanza di vivibilità generale.


A primo acchito potrebbe sembrare una provocazione, ma non lo è: potreste pensare che siamo dei retrogradi conservatori che con cieca ostinazione rifiutano di vivere una città del terzo millennio, ma non è così. La storia - e le architetture che parlano di essa - merita rispetto, chiede cura, riverenza, lentezza.

Ma quanti di noi, spostandosi dal Duomo verso la piazza, si sforzano di immedesimarsi nello spazio in cui ci si muove, chi riesce ad immaginare quale fosse il tipo di vita all’epoca della fondazione della prestigiosa basilica e la dimensione urbana intorno al complesso benedettino?
Vivevano dei monaci, poche maestranze e uno sparuto gruppo di persone, lo spostamento per i sentieri in terra battuta era di certo segnato con modello urbano imponente ma ad una dimensione molto umana direi quasi del tutto contemplativa.

Qui il mio disappunto: che rispetto abbiamo oggi di questo lascito?

Viceversa oggi troviamo schiere di persone pronte ad imbracciare un fucile se gli si imbratta il muro di casa, ma se poi a livello generale “tutti” contribuiamo al degrado del Comune Bene chi sarebbe pronto a fare fuoco?

Il concetto equivale a fare la rappresentazione del cittadino medio di oggi: abbiamo gente che deve scorrere veloce su tutto, depredando immagini con azioni che non si chiamano più foto, ma selfie, cibandosi di patatine congelate e non di crocchè e panelle in stile street food siciliano, invece questi spazi gridano silenzi, lentezze, hanno dentro millenari racconti, sono scrigni in cui la luce è guida dello spirito. Sono le stesse ragioni per le quali la gente ascolta la musica “truzza” e non vuole più fermarsi a cercare di capire la musica più antica. Cercare non è più un piacere, non si vuole più pazientare, né tantomeno faticare e tutto ciò che impedisce questo è assolutamente secondario.

Sono pensieri del genere che ci fanno mettere le cartucce a pallettoni su queste pagine.

Altri ricordi vagano per la mente: a chi serve tutto il lavoro fatto dall’architetto Girolamo Naselli Flores e da Maria Andaloro?
Non posso dimenticare quante volte proprio l’architetto Naselli profetizzasse ostinatamente che lo scavo della cripta sotto la Sala San Placido stesse danneggiando l’assetto del Chiostro adiacente e dopo la sua morte infatti le arcate dovettero essere puntellate.
Adesso il gioco si fa duro, perché guardiamo ai manuali di chimica per arrivare ad altre affermazioni giusto perché è con un pò di fatica che vi farò arrivare alla pedonalizzazione della città.

La prima affermazione è banale: il duomo è realizzato con delle “pietre”. Tali elementi lapidei immobili, indifesi non reagiscono al mutare delle condizioni esterne perché non sono esseri umani che si riparano dagli eventi atmosferici. Cosa accade però nell’atmosfera di un microclima cittadino attraversato da auto e non più da cavalli e carretti? Di seguito vi elenco pedissequamente solo pochi dei tanti fenomeni di degrado rilevabili nei nostri monumenti.
Intanto andiamo incontro ad una progressiva azione di Solfatazione delle rocce.
L’anidride solforosa esistente nell’atmosfera si ossida trasformandosi in anidride solforica, che con acqua piovana dà acido solforico, secondo la seguente reazione:
SO2 + O  = SO3   SO3 + H2O   = H2SO4
In presenza di calcare si ha la rapida fissazione dell’anidride nelle pietre in presenza di catalizzatori (polvere, carbone, ossidi di vanadio e ferro, ecc) o anche di veicoli biologici, che sono sempre presenti nelle croste delle pietre e nello smog.
L’acido solforico attacca i calcari trasformandoli in solfati, cioè in gesso, quindi in un prodotto solubile, secondo la reazione:
H2SO4 + CaCO3     CaSO4 + H2O + CO2
Detto in parole molto semplici il “marmo diventa gesso”. 


Nelle pietre ciò si rileva per il distacco di scaglie giallastre dalle superfici lapidee, dovute all’aumento di volume del gesso bagnato; la caduta di tali scaglie rivela ampi crateri ben visibili e se guardaste con attenzione rischiereste di notare parecchi fenomeni di questo tipo.
Avete idea di quanto marmo sia presente nel Duomo? E nel Chiostro?

Un processo di carbonatazione dei materiali avviene tramite l’azione dell’acido carbonico, ottenuto dalla combinazione di acqua e anidride carbonica: CO2 + H2O  H2CO3.
Si tratta di un acido debole, ad azione lenta, che solubilizza il materiale calcareo attraverso la reazione: CaCO3 + H2CO3  =  Ca (HCO3)2 , dove il carbonato di calcio, combinato con l’acido carbonico, dà luogo al bicarbonato di calcio, solubile in acqua.

Tradotto in parole più semplici le pietre diventano Bicarbonato come quello che utilizzate a casa per curare il bruciore di stomaco!

La presenza di acqua acida è responsabile anche dell’alterazione dei materiali silicatici (pietre arenarie, tufi vulcanici, graniti, vetro e componenti silicatici dei materiali artificiali). Le reazioni attivate conducono alla solubizzazione o alla cosiddetta “argillificazione” e avvengono mediante la sostituzione degli ioni di idrogeno, contenuti nell’acqua acida, con ioni che fanno parte del reticolo cristallino del materiale, ad esempio ioni potassio o sodio.
Per non parlare del lungo elenco delle alterazioni fisiche che si attuano mediante sforzi di carico e sollecitazioni, anche a livello molecolare. Spesso si presentano delle tensioni da carico con deformazioni piùo meno reversibili sino ad arrivare alla rottura dell’elemento sollecitato.

La gelività e i relativi fenomeni di variazione di volume che accompagnano il passaggio di stato da liquido a solido provocano notevoli danni e degradi.
La stessa acqua già inquinata che entra nell’elemento lapideo provoca la formazione di una soluzione liquida in cui i sali vengono condotti dall’esterno all’interno del materiale. La conseguente evaporazione consente la cristallizzazione di questi sali e il danneggiamento del materiale. 
Gli effetti dovuti alla cristallizzazione si diversificano in funzione della velocità di evaporazione dell’acqua; se questa è superiore alla velocità migratoria della soluzione entro il materiale, la cristallizzazione avverrà all’interno del muro e produrrà tensioni sulle pareti dei pori (subflorescenza). Se invece l’acqua evapora più lentamente e la soluzione ha la possibilitàdi risalire in superficie, la cristallizzazione dei sali apporterà unicamente danni di tipo estetico (efflorescenza). La crescita di volume dei cristalli in senso parallelo alla parete comporterà il distacco del materiale, in senso ortogonale provocherà fenomeni di corrugamento superficiale.

Un altro effetto molto negativo e comune alla maggior parte delle strutture architettoniche, soprattutto, in ambiente urbano è dovuto alla presenza di volatili apparentemente innocui. Il guano prodotto dagli uccelli è infatti una fonte di sali solubili molto pericolosi, soprattutto nitrati, e costituisce con la sua parte organica un ottimo substrato per lo sviluppo di funghi e batteri. A questi effetti dannosi di tipo chimico, biologico, va aggiunto il danno estetico prodotto dalla presenza del guano, che certo non è meno importante dei precedenti.
Dobbiamo dunque temere la perdita netta di materiale definita “erosione”, che si verifica soprattutto nelle zone esposte all’azione dilavante della pioggia, “l’annerimento” o sporcamento determinato dal deposito delle particelle carboniose sulla superficie dei nostri monumenti, che si verifica invece nelle zone protette dalla pioggia e altresì paventare “lo stress fisico” (determinato da fattori climatici e microclimatici), unito alle vibrazioni trasmesse dal costante e intenso traffico veicolare.

Ad oggi non possiamo determinare correttamente l’influenza del particolato sullo stato di conservazione del nostro Patrimonio Unesco, al fine di avere elementi utili bisognerebbe conoscere i dati di concentrazione degli inquinanti, la loro composizione chimica. 
La comprensione dei meccanismi di deposizione del particolato si basa inoltre sulla conoscenza dei parametri termoigrometrici, che permette di valutare quello che viene definito l’indice di stress fisico, che tiene conto dell’interazione termica e dell’umidità tra ambiente e materiale.

Lo sporcamento dipende anche dal contenuto di acqua negli strati superficiali del materiale; infatti, esso favorisce l’aumento dell’efficienza di cattura da parte di una superficie bagnata, causando un maggiore deposito degli inquinanti presenti in atmosfera.
Potevo continuare impinguando questa dissertazione con vari trattati, ma vi rimanderò alla breve bibliografia di supporto cui ho fatto riferimento per la parte più scientifica e di approccio metodologico.

Le considerazioni finali vanno a individuare la tematica centrale di partenza secondo cui non è sostenibile un approccio alla molteplicità monumentale, espressa dalle emergenze architettoniche, sulla base di un saccheggio continuo e di un uso indiscriminato degli spazi. Per tutta la serie di motivazioni inerenti il rischio continuo e incessante dovute all’aggressione chimica di cui sopra, e in secondo luogo perché è necessario cercare di imporre uno stile di vita in cui i monumenti siano occasione di progettualità e non di malintesa urbanistica.


Qui ci si improvvisa, circondati da politicanti troppo provinciali e non da politici, nel rabberciare soluzioni e nel dimostrare una profonda immensa inadeguatezza culturale.
Bisogna leggere la città segmentando i livelli di analisi dal piccolo elemento a quello più macroscopico e complesso, si dovrebbe agire in considerazione della unicità e della irripetibilità dei temi che si presentano, proponendo un restauro urbano, urbanistico e ambientale diretti al fine della conservazione dei valori culturali presenti.

Salvatore Boscarino parla di intervenire nei centri storici secondo logiche non dettate da pure economie di profitto (uso privato e irrispettoso di qualunque natura), ma vede “necessaria la ricerca di condizioni non tecnocratiche o industrializzate, indirizzate su una scala di interventi di piccola dimensione da perseguire possibilmente con la presenza degli abitanti”.
Ci suggerisce in pratica di ridefinire il rapporto con la storia partendo dalla scala di quartiere per arrivare a quella più grande, cercando il consenso della popolazione, perchési possa guadagnare una dimensione urbana e storica ormai dimenticata.

Eliminare totalmente il traffico auto equivale a preservare la caratteristica delle architetture esistenti, significa riconoscere l’istanza estetica che corrisponde al fatto basilare dell’essere “opera d’arte”, per cui il monumento viene riconosciuto tale e il preservare la fisicità dei beni garantisce la loro trasmissione al futuro.

Il valore storico di un monumento è tanto più alto quanto più si apprezza il grado in cui si manifesta lo stato originale e concluso del monumento o in questo caso del complesso urbano, pertanto: se la mèta è la conservazione ne consegue che una Amministrazione seria non possa consentire che i taxi passino sotto l’Arco degli Angeli, che le piazze siano il raduno serale dell’automobil club e della chincaglieria turistica, ciò equivarrebbe a vandalizzare l’immagine del Cristo Pantocratore.

BIBLIOGRAFIA
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lunedì 3 agosto 2015

Dal terreno emergono i brani di un antico Convento

Nel corso del 2014, sulla scorta delle pregresse esperienze (nel 2008 e nel 2011 con le quali sono stati sostenuti 21 progetti, per un'erogazione complessiva di 8 milioni di euro)", la Fondazione per il Sud "ha pubblicato una terza edizione del Bando per la valorizzazione del patrimonio storico-artistico e culturale nelle regioni meridionali, con l'obiettivo di promuovere e valorizzare l'uso 'comune' dei beni culturali, e permetterne un'ampia fruibilita' da parte della collettività. Rispetto alle precedenti edizioni, la Fondazione ha deciso di adottare una procedura inedita, che svincola la proprietà dell'immobile con la progettualità che in esso sarà sviluppata, prevedendo due fasi distinte".
Si tratta di beni per l'80% di proprietà di Enti Pubblici (76% Comuni), un 10% appartiene ad Enti Ecclesiastici, il restante rientra nella categoria Ville e palazzi storici, seguono luoghi di culto, castelli e fortezze, beni archeologici, beni di archeologia industriale e spazi di altra natura. Dei 221 beni proposti la Fondazione ne ha selezionati quattordici.  Cinque di questi in Sicilia: Villa Manganelli a Zafferana Etnea (Catania), Chiesa della Madonna della Raccomandata a Sciacca (Agrigento), Castello di Federico II a Giuliana (Palermo), 
Padiglione 10 e Padiglione 20 dei Cantieri culturali alla Zisa di Palermo. Nel corso della II fase dell'iniziativa, "gli immobili selezionati hanno partecipato al bando vero e proprio, che si e’ chiuso il 14 luglio, rivolto alle no profit del territorio per identificare le migliori proposte di interventi socio-culturali, economicamente sostenibili e capaci di favorirne la piena fruizione da parte della collettività mettendo a disposizione 4 milioni di euro”.
Ovviamente la nostra città non ha partecipato in alcun modo poiché non abbiamo alcuna notizia in merito né tantomeno vi sono candidature, del resto basta andare sul seguente sito e vedere il dettaglio dell’iniziativa (http://ilbenetornacomune.it).
Non parleremo adesso però del Castello di Federico II a Giuliana, ma di un altro bene sottratto invece del tutto all’uso comune e per giunta alla Memoria. Gli esperti del settore sono costretti a ricordarci delle cose e quando qualche settimana fa il consigliere Manuela Quadrante mi mostrò alcune foto a sorpresa. Io le dissi immediatamente di cosa si trattasse. Inoltre le persone della mia generazione che hanno avuto anche la fortuna di conoscere il lascito e la persona del professore Schirò, hanno memoria dell’ex Convento dei frati Cappuccini.
Una nota del Siusa (Sistema informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche n.d.r.) riporta che “I Cappuccini furono chiamati a Monreale nel 1580 dal cardinale Ludovico I Torres e si distinsero, per la loro vigorosa attività di culto e assistenza agli ammalati ed ai bisognosi. Dal 1662 il convento diventa luogo di studio dell'Ordine, dotato anche di una Biblioteca. Inoltre, il Comune si serviva dei Cappuccini per distribuire le elemosine. Dopo la legge di soppressione delle corporazioni religiose (R.D. n. 3036/1866) il convento venne incamerato e destinato a carcere mandamentale. La chiesa rimase aperta al culto e la Biblioteca assegnata al Comune”.



Oggi questo brandello di Monastero è venuto alla luce per scongiurare il pericolo degli incendi estivi a ridosso dell’ex seminario che ospita il Liceo Basile. E se dobbiamo dirla tutta il convento venne demolito proprio per fare spazio a tale orribile bubbone verde. Vediamo oggi i resti abbandonati di una cappella con affreschi molto deteriorati e che era certamente scomparsa dalla memoria della popolazione.
Dovremmo quindi promuovere operazioni che colleghino la salvaguardia del territorio e delle sue emergenze favorendo al tempo  percorsi di coesione sociale per lo sviluppo. Mi chiedo se sia giusto instillare ogni volta sentimenti di indignazione per incitare “a fare”.
Mi sconvolge il fatto di non trovare il disegno di una politica di lungo termine che cogliendo i tanti spunti riesca a strutturare politiche di sviluppo autopoietiche. Esistono fondazioni che sostengono centinaia di progetti “esemplari”, coinvolgendo migliaia di associazioni, cooperative, scuole, università, fondazioni, istituti ed enti, pubblici e privati, cittadini, soprattutto giovani.
Basterebbe un po' di sana fatica per allargare lo sguardo e condividere anche altre buone pratiche avviate, nel sociale, tentando di provocare innovazione nei processi di comunicazione sociale. E occasioni per la salvaguardia e la connessione di beni culturali possono stimolare nuove e valide forme di impresa che ad oggi non partono e non sono incoraggiate. 
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