domenica 24 maggio 2015

Un piano urbano di crescita territoriale



Molti dei problemi legati al rilancio del sistema economico e su cui ci si interroga da lungo tempo partono certamente dalla conduzione politica basata su precise, corrette istanze di carattere analitico. Se alla base non vi è la capacità di saper interpretare da una parte le sistemiche dei fenomeni turistici e dall’altra quella delle risorse disponibili non potremo tracciare la strada per lo sviluppo socio economico del territorio a breve termine.
Su queste tematiche mi confronto in un dialogo avuto con il Prof. Maurizio Carta.
Urbanista docente della Università degli Studi di Palermo, dal 2009 al 2011 lo ricordiamo in veste di  assessore al Piano strategico e al centro storico del Comune di Palermo promuovendo la riqualificazione delle eccellenze culturali della città per l'inserimento nella lista del Patrimonio dell’umanità dell’Unesco.
Dalla situazione di questa candidatura siamo partiti e subito mi precisa che “i tre poli culturali ammessi al vaglio Unesco hanno passato la prima selezione stabilendo, esclusivamente secondo un punto di vista tecnico/formale, la presenza dei requisiti per l’ammissione, ma questa non è immediata o dovuta,  difatti vi sono innumerevoli siti di prestigio in tutta Italia che da un decennio attendono di entrare a far parte della World Heritage List.
L’ingresso in tale Lista poi non porterà alcun apporto economico poiché esiste un Unesco Found ma è ridotto ormai ad un contenitore vuoto e costringe chi ne fa parte a trovarsi comunque dei fondi”. 
Quindi cari lettori, prepariamoci a una attesa di medio lungo termine e non illudiamoci che domani ci si fregierà dell’imprimatur Unesco. 

Ho chiesto al Professore Carta attraverso quali azioni e attori si potesse dare luogo al ridisegno di un Piano Regolatore in grado di ridefinire nuove logiche e che tipo di città ne possa tornare disegnata, tutto ciò per capire quali soggetti hanno la capacità di incentivare il rilancio del Comune, compatibilmente con la connotazione del territorio e le sue vocazioni.
La risposta è stata che: siamo di fronte a una importante realtà da analizzare, interpretare e ricollocare nel suo contesto Metropolitano. Oggi la distanza tra la città e la campagna è andata riducendosi. Potenti infrastrutture, nuove tecnologie e nuovi paradigmi culturali hanno prodotto una realtà rur-urbana. Una nuova ruralità immersa nella densità della presenza urbana. Abbiamo dunque un’opportunità unica per sperimentare un approccio sistemico e nuovo, a patto che ci si muova verso l’utilizzo di energie rinnovabili, di biomasse, verso la corretta politica del riciclo.

La città, come gli edifici  nella piccola scala, deve pensarsi come un organismo metabolico in cui i flussi di fabbisogno non devono essere intaccati dal ciclo dei flussi generati in fase emissiva (rifiuti, inquinamento…) 
Il territorio inteso come Sistema Sostenibile deve essere pensato e rivalorizzato adottando risposte al cambiamento sociale in atto e attivando nuove forme di governance.

Carta suggerisce poi di guardare al patrimonio delle forme cooperativistiche che a livello di PMI hanno costituito molta parte dell’economia Italiana e che da sempre sono state prese a modello anche per la capacità di generare intrinsecamente forme di welfare sociale.

“In un sito seriale e tripolare il rischio è che il visitatore veda magari Palermo e non continui il suo viaggio attraverso le altre città di Cefalù e Monreale, sarà dunque un Piano di Gestione Operativo a fare in modo che si capisca la necessità di arrivare a comprendere le loro identità.
L’ipotetico turista potrebbe decidere di muoversi liberamente sul territorio preferendo di risiedere a Monreale avvantaggiandosi della sua posizione e delle strutture presenti potendo affacciarsi però alla più complessa offerta culturale garantita dalla città di Palermo, è per questo che appare fondamentale la necessità di avvalersi di un programma che scelga di tracciare nuove dorsali stradali, che ampli l’offerta del trasporto pubblico attraverso la dotazione di un asse tranviario anche a Monreale.
Perché non puntare allora verso una ospitalità green oriented? Una rete di siti per l’ospitalità gestiti da coop di giovani (composti da soggetti provenienti dall’intero continente sul modello di quanto pensato a Matera) che riqualifichino in modo bio compatibile e sostenibile strutture non più produttive e che introducano un lavoro secondo nuovi schemi socio culturali?”

Mi permetto di tracciare la sintesi dell’incontro  con Maurizio Carta per suggerire in modo concreto agli amministratori un possibile percorso di crescita e di investimento. 
E’ sin troppo chiaro che la posizione di colui che scrive è comoda, ma penso possa essere realmente intelligente quando la riflessione diventa proposizione, dibattito e non sterile scontro. 

Emerge chiara la necessità di pensare alla nuova economia per la sopravvivenza attraverso azioni di: riqualificazione del costruito e dei siti ambientali; mediante il ridisegno delle connessioni tra i poli metropolitani e le principali infrastrutture (porti, stazioni, aeroporti) e nella scala interna tra le varie parti organiche del territorio; attraverso la riqualificazione rurale, rivalutando le colture, le singolarità biotiche, il sistema dei corsi di acqua, di masserie inserendoli in un contesto di funzionalizzazione con strutture di percorsi per il tempo libero e il lavoro. 
Sono tutte azioni che dovrebbero trasparire dalle piccole scelte quotidiane fatte e tracciate dalla Amministrazione ma soprattutto anche dalle scelte in sede di Consiglio Comunale e la mancata  adesione al Piano JESSICA (Joint European Support for Sustainable Investment in City Areas - Sostegno europeo congiunto per investimenti sostenibili nelle aree urbane) mi lascia perplesso e sconcertato, perché la lungimiranza per garantire la crescita di una città si valuta senza dubbio dalla capacità di captare questi agognati contributi europei che invece ci passano davanti come treni troppo veloci. 

domenica 17 maggio 2015

Monreale vista da un iPhone


Mi sono cimentato in un gioco  che mi ha portato a riflettere su cosa possa essere oggi la capacità di attraversare una città e di interpretare ciò che essa rappresenta e ci comunica con i suoi segni del tempo, le sue rughe, con il nuovo e in secondo luogo a come essa possa rivelarsi ai nostri occhi.
Tutto sembra apparentemente incorporarsi e amalgamarsi, ma è solo una sovrapposizione o un eccessiva superfetazione e ogni pianificazione urbanistica e sociale sembra una utopia.

Spulciando su instagram con l’hashtag #Monreale ciò che emerge è l’occhio di un potenziale turista capace di emozionarsi solo dinanzi ai principali siti architettonici e a quanto di immediatamente circostante ad essi. Ma non cambia molto anche per chi è del luogo…

Il quesito che mi sono posto è dunque relativo all’approccio mentale che abbiamo rispetto la nostra città e alla sua percezione, qual è il punto di vista che cattura la vista e l’occhio? Come questo influenza i nostri percorsi mentali e poi fisici nell’attraversare vie e nello stringere relazioni?

Uno dei primi abitanti del villaggio di Mons Regalis ovviamente avrà potuto godere del connubio con una natura che avrà dovuto “spostare” quasi a forza per penetrarla e affermare lo spazio antropico, inoltre per svariati secoli la dimensione sarà stata connotata dalla lentezza.
La lentezza è oggi una rarità di inestimabile valore di cui si può godere in pochi eletti luoghi (uno tra questi è Venezia) ed insieme alla costanza dà la misura dell’amore verso le cose. 

Ieri il viaggiatore e il cittadino nel percorrere la città di Monreale potevano sentire la presenza di una forte regalità temporale e religiosa affermate dal simulacro della Chiesa conclamata nella emergenza di un complesso di architetture costellate da puntuali tessuti urbani a corollario.
Le immagini che ci raccontano questa visione (Laminae) sono ormai parte del nostro corredo iconografico in molti di noi sedimentato e stratificato nel personale immaginario.

Cosa vedono oggi i miei scatti fotografici fatti con un semplice smartphone? Vedo saccheggio, scempio, vedo i taxi posteggiati sotto un “Arco degli Angeli”  (immagine di un lassismo politico connivente e accomodante), faccio la foto a delle baracche grigie e grosse come bubboni con le ruote  trascinate nell’antivilla comunale per manifesta incapacità a uscire dagli schemi e inventare una soluzione o applicare un principio unico per tutti. 
Fotografo ancora scalinate di marmo sbeccate forse da “turisti affamati di billiemi" che negli anni hanno portato venditori abusivi come se fossero i loro stessi parassiti.
Ho fatto uno scatto a chi posteggia la notte in via Arcivescovado dinanzi al proprio esercizio commerciale per controllare la sua auto senza antifurto, 
Mi meraviglio nel vedere auto in sosta selvaggia e selvaggi dentro le auto desiderosi di posteggiare in piazza e passare dal sedile alla sedia di un’apericena.
Mi finisce peggio quando poi inviano sul mio profilo twitter documenti di un dopofesta con “ricordini” corporali dinanzi le porte altrui evidentemente ripensate e risemantizzate a vespasiano.

L’aspetto urbano è poi specchio progressivo del costume, Cicerone nelle Verrine gridava “O tempora, O mores….” io non trovo alcuna qualità architettonica, nessun premio alla contestualizzazione, nessuna ricerca verso l’inserimento contestualizzato e ragionato, palese frutto di una barbarie imperante e armonizzata nel tempo. 
Una città fin troppo spontanea, perché in tempi di recessione, prima culturali e poi economici fa sempre più appello all’informale come soluzione ai mali di una evidente inosservanza di regole e pianificazione. 
E laddove ci sono chiare regole, troviamo sempre qualcuno pronto a spostare i paletti della norma per soddisfare i bisogni del singolo.

E’ urbanistica e poi politica questa molteplicità fatta  da singoli attori nel territorio e da burocrati decisori?, ma dopo quasi cinquanta anni cosa mai ci ha lasciato Astengo? Quali immagini lascerò ai posteri quando abbandonerò il mio iPhone?

domenica 10 maggio 2015

Se a Favara ci insegnano a sognare sotto la Luna





E’ il caso di dire che strane simmetrie risuonano nella mia mente. Soprattutto quando trovi quasi per caso un artigiano dedito a lavorare alla “cosa architettonica” con l’insistenza e la costanza di un sapiente musicista.
Un uomo desideroso di arrivare alla sua migliore esecuzione, di raggiungere la perfezione del ritmo, di suonare la sua stessa vita ed essenza e per fare ciò si spende in modo unico. 
Questo tipo di suono è il Sound che vi volevo descrivere, fatto di innumerevoli click di mouse ripetuti all’infinito e che alla fine costituiscono l’armonia di forme architettoniche singolari e contemporanee. 
Nel fare tale accostamento penso a famosi batteristi che giorno per giorno tracciano come Buddy Rich o Billy Cobham la filosofia del ritmo jazz.
Ho capito che in Sicilia si disegnano nuove rotte culturali, una nuova energia si avverte sulla base di fatti concreti trasformanti la realtà urbana e in riqualificazioni modulate su varia scala.
Le strategie messe in atto da privati, oggi divenuti veri e propri imprenditori di arte e cultura, si tramutano in una consapevole volontà politica di spostare il baricentro isolano attraendo energie culturale in un moto centripeto e mutando le rotte del pubblico d’arte. 
Favara come Berlino? 
Ho incontrato Lillo Giglia, un “architetto jazz” , l’ho visto padroneggiare la materia, nella doviziosa ricerca della corretta sintesi architettonica. Lillo propone, a Favara, un progetto incastonato nella Poetica di un Percorso costituito da una teoria di fatti architettonici densi di significati e figli del suo essere poliedrico. 
Le immagini a corredo di questo articolo raccontano la riqualificazione di un  tessuto urbano  sgranato dalla vetustà e dall’abbandono partendo dalla esperienza dilagante, esplosiva, coinvolgente del Farm Cultural Park. 
Qui Vicolo Luna dal nome evocatore di ispirazioni desideri e sogni per antonomasia ha insito il potere di volare verso un futuro fatto di ben alte mete con una denominazione che tra l’altro sembra un brand ricercato e più che mai contestualizzato…
Entrambe le esperienze sono una rassegna di forme che si sposano con la storia dei luoghi in modo organico, ricollocando nel tessuto urbano elementi in grado di tramandare il vissuto e conducono in un linguaggio di straniamento nuove matrici semiotiche e simbologiche.
Vuoti e pieni come nuovo e vecchio riemergono e giocano volutamente nel contesto, affondando nel dialogo di ridefinizione fisico-compositiva. 
Vecchie case dirute diventano centri di moderna aggregazione, centri polivalenti multifunzionali e capaci di attrarre eventi, risorse, investimenti, energie in un contesto pensate con gli occhi di un architetto visionario e appassionato.
C’è un “plus” in ogni spazio, in ogni dettaglio, laddove Lillo Giglia propone nuove suggestioni risemantizzando gli stilemi linguistici di una cultura metropolitana, in un obsoleto contesto storico, proiettando così l’intera città di Favara verso un’era (digitale, contemporanea, europea, del web) che più gli è consona nel linguaggio e nell’idea progettuale. 
Attraversando le sue nuove architetture (ancora in divenire) mi è parso di percepire una ricerca trasversale,  colta, connotata dal segno minimale trovato ora nella neutralità degli spazi grigi o nella scelta di grossi elementi in marmo monolitici e primordiali. 
Non c’è un uso sfrenato del razionalismo di ultima generazione, quanto lo sforzo artigianale di dialogare con la materia primigenia dove si tralascia la forma vetusta. 
Ho toccato con mano una cornice idonea ad aprire e a mostrare la vena spirituale in grado favorire processi urbani e regionali atti a coinvolgere i sensi, l’arte e la vita. 
Antropizzare diversamente, dialogare con la storia e le preesistenze, coinvolgere il contesto sociale per attivare strategie economiche di scala partendo dall’intrinseco patrimonio di precipua vocazione territoriale. 
Non lo dirò a parole, ma il confronto con i miei/vostri esperti, politici e imprenditori locali non esiste data la incapacità a pensare fuori dagli schemi. 

E’ sempre vero che Crisi è sinonimo di opportunità, scelta, discernimento e che gli ostacoli possono rimodularsi in opportunità e mi auspico pertanto che anche il nostro territorio monrealese un giorno possa avere il dono di essere ri-formato partendo da un sogno come fu nel medioevo con Guglielmo II.


 



Stato di Fatto e Render su Vicolo Luna

Fasi di sgombero macerie dal cortile interno
Stato di Fatto e Render del Cortile interno




Render Corte Interna

lunedì 4 maggio 2015

gli Invisibili, i barbari e lo stress




Accadono alle volte strane coincidenze per cui il significato della azioni, di eventi apparentemente eterogenei alla fine hanno una comune strettissima intima logica sovrastrutturale.
Oggi si è aperta la mostra di Lavinia Caminiti “gli Invisibili”, a tal proposito non vi parlerò delle importanti e notevoli presenze intervenute, perché il loro stesso contributo va agli assenti che nel grido della loro assenza rimarcano la necessità di mettere un’anima in piedi. 
Il giorno scelto è molto importante perché rimanda (specialmente per i monrealesi) ad un avvenimento tragico che per anni è stato oscurato dai “vuoti a perdere” di una festa tracimante.
Un “3 maggio” che tutto travolge e che lascia un opprimente silenzio del giorno dopo.

Ho parlato con Lavinia Caminiti e mi ha raccontato del suo paziente lavoro; le sue immagini hanno dentro il racconto del silenzio e del nulla, la tragedia dell’oblio, e il segno di una civiltà smarrita nelle lapidi, ormai cicatrici di dolori sempre più privati.
Quel velo, quella distanza che immediatamente dopo un evento shock porta invisibilità ed oblio, ad un’anima perduta o addirittura rifiutata. 
Questa volta vi svelerò immediatamente il senso della mia riflessione: noi la chiamiamo ancora anima, vorremmo che queste immagini, che le feste “religiose” appena trascorse, le ricorrenze delle centinaia di assassinii barbari e incivili, spingessero la spiritualità laddove un iperuranio ha il respiro di una bontà superiore, unica per i laici, e di rivelazione per i religiosi. 
E’ una mostra dedicata e pensata per i ragazzi, quegli stessi adolescenti che hanno troppo spesso sguardi smarriti e che hanno bisogno di senso, un semplice senso della vita, che però non faccia soffrire, che non faccia andare faticosamente a fondo. 
La nostra società si è trasformata sia nel linguaggio quanto nelle relazioni, ed è fatta da surfisti dell’anima che vivono solo la superficie prendendo e saccheggiando, dove il “Passato” è trascorso, è: passato, appunto.
Ma gli adulti contemporanei sono peggio dei loro figli, perché cercano di avvicinarsi a una moderna verità che non è nemmeno la loro e viaggiano velocissimi inebetiti e attratti da effimere apparenze mass mediatiche. 
Per dirla con Baricco il passato è: uno dei luoghi privilegiati del senso, bisogna capire che non è mai finito e rivive in ogni gesto che sa suscitarlo dall’oblio. E per fare tale operazione  occorre fatica, rigore, studio e intelligenza.

L’altro aspetto cui facevo riferimento all’inizio e che accomuna questo pesante e responsabile “senso dell’essere” è dunque la buona considerazione che dovrebbe trasparire negli atteggiamenti quotidiani, nel senso civico, nel rispetto delle emergenze storiche del patrimonio comune. 
Invece questi barbari, figli di barbari, vandalizzano la città, la deturpano e la Festa diviene qualcosa d’altro in cui convivono anime religiose e pezzi di società che saccheggia ogni cosa velocemente senza capire il senso delle tradizioni e dei luoghi. 
Ma la cosa che più mi sconvolge non è la capacità dei politici di gestire questa o quella manifestazione, ma la caparbia inettitudine dei Funzionari che non funzionano.
I veri fautori della barbarie sono loro, che da sempre vivono le loro poltroncine presidenziali nella assoluta autonomia discrezionale infischiandosene di chicchessia e snobbando il politico di turno. Tanto loro hanno un pc su cui saccheggiare contenuti simil intellettuali, lasciando ai poveri cittadini i nauseabondi i resti di chi, stimolato da alcol e bollicine, ha voluto deturpare il “patrimonio dell’Unesco” irrorandolo e decorandolo con vezzi naif.
Oggi ho dovuto registrare le accorate lamentele dei residenti di vari quartieri (la Ciambra, il Pozzillo, e altre zone lungo l’asse della festa) che in prima persona hanno rimosso i segni nauseabondi infiltrati fin dentro le case dei piani terra. E a questi inetti gestori della cosa pubblica ho subito rivolto il mio pensiero. 

Lavinia Caminiti, oggi ci racconta questo: La sua lotta per non lasciare il passato in mano agli archeologi, ma per resistere alla barbarie e alla superficialità. 
Quale senso profondo può avere bruciare risorse per consegnare ai barbari un lavoro così importante se essi hanno deciso di non farsi coinvolgere?

Combattere perché ancora una volta la Civiltà non sia un lusso e la barbarie il riscatto degli esclusi è il senso di una scomoda verità.

Stress Fest






Con il dovuto rispetto alle tradizioni, al folklore e alla religiosità (che peraltro non entra minimamente nel merito delle nostre considerazioni), questa settimana di festeggiamenti può essere considerata uno “stress test” per la vita della comunità cittadina e dunque possiamo fare scaturire un insieme di valutazioni e ponderazioni alla luce delle quali dibattere sul livello della qualità urbana proposta, attesa e poi effettivamente riscontrabile a Monreale. 

Se una rondine non fa primavera parimenti una festa non fa la forza del turismo e ciò per confermare quanto detto più volte da esperti del settore secondo cui la nostra offerta non costituisce una attrattiva tale da generare flussi turistici di notevole entità atteso che è anche cambiata in genere la tipologia stessa di fruizione dei soggiorni. 
E’ a tutti noto il problema endemico della distribuzione dei parcheggi e della tribolata gestione di questi, della assoluta mancanza di spazi verdi urbani e delle percorribilità pedonali, per non parlare delle offerte culturali che stentano a trovare vita osteggiate da palese indifferenza e “anaffettività” al fare culturale. 
Una città avrebbe dovuto crescere in modo lungimirante, distendendosi sul territorio con un fare più compatibile al paesaggio e alla sua stessa antropizzazione. Con uffici attenti e  vigili (n.d.a. Vigili è in questo caso un aggettivo) attivamente operanti per il controllo dei fenomeni di imperante abusivismo, pianificando, analizzando e controllando la crescita.
Oggi invece “sotto festa” e “sotto stress” i cittadini sono soggiogati da masse convulse che in modo entropico mettono sottoscacco l’urbana normalità.

Se mi limito ad osservare cosa accade in questa città, messa sotto torchio, noto ad esempio la difficoltà di gestione del traffico lungo le principali arterie cittadine, ostruite, intasate e congestionate come le vene di un malato di arteriosclerosi.

Il tessuto storico mal sopporta carichi dovuti ad eventi macroscopici e dal pesante impatto, pertanto sarebbe necessario stimolare ogni possibile processo vitale di adeguamento, nel preciso rispetto di pochi, ma ben evidenti valori morfologici e funzionali. 
Valori, analoghi a quelli da anni utilizzati altrove per la riqualificazione della Città Storica, non fanno riferimento alle singole “unità edilizie”, ma hanno come parametro sistemi edilizi e tessuti urbanistici. Questi rappresentano insieme una differenza di scala, ma al tempo una diversità di forme e di contenuti da tutelare: gli isolati a blocco, i fronti edificati su strada in linea o a edifici separati. 
La morfologia urbanistica di questi tessuti e ambiti storici dovrebbe essere oggetto di complessiva conservazione, ma anche di necessaria Ri-qualificazione richiesta da nuovi contenuti: per esempio trasformando in viali alberati alcune dorsali stradali spoglie e anonime; o preservando ovunque sia possibile la presenza di negozi lungo le strade, magari attrezzando i marciapiedi alla sosta e al passeggio.

Non parliamo della gestione del patrimonio storico lasciato pressoché abbandonato e/o incustodito, quando non del tutto snobbato poiché immateriale, sensitivo, fatto da sperimentazione di dinamiche esterocettive e introcettive. 
Per quale ragione allora fregiarsi di vivere in una città d’Arte? 
Se tornassi indietro con la memoria, tale definizione ci dovrebbe appartenere solo perché un mecenate volle donare uno “scrigno” a dei cinghiali e nonostante tutto il tempo trascorso tale è rimasta la popolazione del Reale Colle.
L’offerta culturale spesso è poco significativa, provinciale e di media qualità perché forse non si riesce ad essere maggiormente appetibili rispetto al capoluogo.
C’è da dire che difatti ci qualifichiamo molto male quando, nella promozione dell’evento dell’anno, si improvvisano con mezzi di fortuna estemporanee interviste ovvero nell’essere istituzionalmente rappresentati da blogger più o meno naif che postano commenti e contenuti arbitrari o di dubbia provenienza e attendibilità. 

Che stress questa festa laica, ne usciamo sconfitti, distrutti e barcollanti. 

Una città che sia nuova, confortevole e per definirla in termini attuali: “Smart” e creativa si dovrebbe configurare come una potente leva socio-urbanistica orientata ad un’azione di trasformazione intimamente alimentata dall’armartura culturale. 

Da una visione in cui le città più competitive sono quelle in grado di attrarre la classe creativa dobbiamo passare ad una visione progettuale in cui la città diventa generatrice di creatività, si configura come un potente incubatore di economie dell’innovazione, della cultura, della ricerca, della produzione artistica, investendo nella economia dell’esperienza e rafforzando il proprio capitale identitario. 

La città creativa è una tensione, richiede una visione prospettica e ci chiama all’azione. 
Sulla base di una maggiore Cooperazione urbana, dei strumenti di Comunicazione e di energiche risorse Culturali si gioca il futuro della nostra città. 
E il manifesto che dovrà guidare l’azione progettuale si articola attorno a quattro cardini: una visione guida, un obiettivo strategico, la produzione di risultati concreti e una chiara dimensione evolutiva.
L’Obiettivo primario dovrebbe tracciare e potenziare i processi di governance urbana. 
Ciò di solito consente di migliorare le qualità e i risultati dei progetti di riqualificazione in un’ottica di maggiore competitività, coesione e cooperazione.

Come Output dovremmo essere capaci di alimentare il suo nucleo creativo e di porlo a fondamento del progetto di futuro. Una nuova agenda urbana dovrebbe contenere principi e azioni che producano nuova creatività, ridisegnando i centri, distribuendo le reti, rigenerando i luoghi e aggregando i tessuti.

Il Futuro: L’economia creativa promuove uno sviluppo basato sulle identità culturali
e sull’innovazione: il recupero del patrimonio culturale (materiale e immateriale).
La riqualificazione delle aree dismesse, l’offerta di servizi culturali, la diffusione della ricerca e il potenziamento delle infrastrutture alimentano una nuova sostenibilità economica del rinascimento urbano.

George Barnard Shaw diceva: “alcuni uomini vedono le cose come sono e dicono: Perché?. 
Io sogno le cose come non sono mai state e dico: Perché No?

Istantanee del Post Festa all'interno del quartiere Ciambra