lunedì 2 novembre 2015

Innamorarsi di una città in cui vivere

Sul finire di ottobre il Sole 24 Ore titolava “Cultura, si torna a investire” io stesso ho sempre criticato, in questo spazio, un determinato tipo di scelte in grado di  svilire il patrimonio culturale e architettonico attribuendo alla cultura una funzione quasi miracolistica abbinata a una visione petrolifera secondo cui il patrimonio culturale generi una ricchezza. 
Ne faccio una questione di politica didattica e non di tipo governativo, quindi sin da ora esplicito la mia indifferenza nei confronti delle singole persone che non voglio attaccare, ma sono interessato all’agire amministrativo per la crescita della società.


Pier Luigi Sacco scrive che alle volte sembra poter “individuare una formula magica che renda questo possibile cioè: un modello di valorizzazione capace di generare ingenti profitti dallo sfruttamento turistico-commerciale del patrimonio”.
I manager monrealesi hanno allora usato questo metodo lavorativo per produrre plusvalenze economiche o i numeri di ricadute e vantaggi sono solo quelli citati da esperti che elaborano asettici piani di gestione economica?
Quale immagine ha prodotto questa amministrazione dal punto di vista culturale e turistico? Pochi eventi (SS. Crocifisso, Settimana di Musica Sacra, Festival Organistico di San Martino)  lanciano la città sulla ribalta regionale, per il resto il nulla cala su questa cittadina dormitorio abbandonata. 

 


Pare, pertanto, che non si  riesca a coordinare validamente le energie degli operatori locali per portare profitto in seguito alle manifestazioni organizzate e che richiedono un investimento sul fronte turistico non esclusivamente in senso economico.
Ad oggi possiamo ben dire che non si rintracci una linea guida e alla luce delle inverosimili occasioni mancate non ritengo ce ne sia una.
Se dobbiamo “fare parlare i fatti” allora - per esempio - noto con disappunto l’assenza del logo della città di Monreale  a indicare il patrocinio della Borsa del Turismo delle Religioni di cui tanto si sta parlando in questi giorni. 
Cosa significa tangibilmente per le amministrazioni passate e presenti - oltre i proclami di buoni intenti - fare cultura e soprattutto generare economia? 

Smettiamola allora di atteggiarci a città della Cultura e di fregiarci del titolo di città del Mosaico, sono due cose che non siamo in grado di mettere a sistema e di valorizzare.
Riprova ne sia qualora si faccia visita ai laboratori  degli artigiani che contano unicamente sulle loro forze per emergere e farsi spazio nella vita reale del mercato e soprattutto per quanto poco si produca all’interno dell’Istituto Statale di Arte per il Mosaico slegato sempre più da un contesto pittorico musivo che si delinei con eventi e interazioni sul territorio. 
Se avessimo un conservatorio sarebbe normale pensare di sfornare talenti artistici che diffondano la cultura musicale e che si affermino nel panorama artistico. 
Di contro noi quanti giovani mosaicisti validi abbiamo prodotto? Quanto dibattito si realizza intorno questa tecnica, ma soprattutto quanto arriva alla gente fuori le mura della cittadina normanna? 
Da decenni non abbiamo un cinema, un teatro… che significa tutto questo per voi? I
o lo chiamerei semplicemente degrado, incuria, negligenza e se non ne sentite il bisogno è ancora peggio. 
Ravvedo l’incedere di una cultura barbarica come quella abbondantemente tratteggiata da Alessandro Baricco in un suo saggio: al calo di qualità si sopperisce con le quantità, si sbaglia quando si cerca di soddisfare bisogni e non li si crea. 
Chi dovrebbe intervenire per arginare queste criticità? A mio avviso oltre alle Scuole anche i politici dovrebbero ipotizzare strade da percorrere con azioni concrete che pongano le basi per un rinnovamento in grado di  stimolare imprenditorialità e creatività. Non voglio essere solo polemico, ma non voglio nemmeno fornire le mie personali soluzioni per non offendere l’intelligenza di chi ha trovato ampio consenso di voti. 



Ancora oggi l’associazione Turismo Monreale si pone il problema di un turismo mordi e fuggi. Ritengo invece che siamo mortificati dalla incapacità di  pensare, generare, strutturare dei circuiti culturali, di intrattenimento, di relazione, di emozione, di pellegrinaggio, di attrattività in senso lato capaci di  trasformare l’offerta stessa e attrarre con proposte appetibili “altro tipo di viaggiatori” non legati al bus e al circuito delle crociere. 
Faccio del Turismo una questione nodale perché ovviamente essa è legata profondamente alla economia attuale e futura che si può delineare a breve e medio termine 

Qui abbiamo seri problemi, anche e solo, nell’approccio lessicale e concettuale, nella filosofia e impostazione del “problem solving”. Vogliamo un turista diverso? è ovvio che bisogna profilare una offerta diversa e ad alto valore aggiunto però sino ad ora ben poco di tutto questo viene fuori.
Ci voleva la Arcidiocesi di Monreale per capire che una delle strade di rilancio sia quella del turismo religioso (Lourdes, Assisi Medjugorie… docet).

La sensazione è che ci siano persone  per nulla innamorate della propria città. Esse si profilano con una visione provinciale, mediocre, fatta di beghe, ricattucci, ripicche, faziosità che uccidono la città e il suo popolo (quello stesso che poi versa 1400 euro pro capite per foraggiare le loro poltrone). Non vorrei pensare come Hobbes secondo cui la condizione dell'uomo é una condizione di guerra di ciascuno contro ogni altro. Loro si linciano, surfano sulla cultura, senza mai scendere in profondità dove c’è fatica e lavoro. 

La loro immagine viene propagandata ostinatamente da produzioni video caricaturali e degne della repubblica delle banane e pare di ritrovarvi il gusto piacione della notorietà tout-court. 
Ma non trovo nemmeno la capacità di adottare degli slogan felici per rappresentarsi.  Si va avanti per emergenze e che ben venga a questo punto un privato nel gestire il Complesso Guglielmo così lasceremo spazio a criteri valutativi numerici imparziali e fallimenti o successi saranno unicamente imputabili ad altri. 
Non penso sia nemmeno una questione riconducibile a una maggioranza opposta alla avversa fazione politica, quanto invece una istanza intrinseca di “comune ricerca del profitto” per innalzare la qualità di vita del cittadino. Ovvia mi appare la necessità del confronto, del dibattito e del rapporto democratico, ma potrebbe darsi che voci minoritarie alle volte riescano ad esprimere il buon senso del pater familias e abbiano la solidità dell’esperienza che non trova il potere prevaricatore del numero.




Studiare, cercare, applicarsi  è la ricetta: ma è dolorosa e il barbaro la rifugge e se peraltro non hai le basi culturali adeguate, il decidere in velocità porta ad errori e ad imprecisioni. Superficie al posto di Profondità (dice Baricco) cercare dal verbo greco “Kirkos” rimanda all’idea di cerchio, un itinerario in rotazione tipico di chi perde qualcosa e con tanta pazienza lo vuole ritrovare, ma Monreale è destinata a navigare sull’onda altrui. 

venerdì 21 agosto 2015

Quale Museo e quale gestione? Una opportunità o un affare di pochi?

Sono davvero curioso di sapere cosa accadrà negli anni futuri quando avremo il completo funzionamento di questo nuovo museo all’interno del Complesso Guglielmo.

Il Percorso espositivo con gli scrigni - Che cosa ci racconterà?


A mio avviso troppi progettisti si sono susseguiti e troppi interventi hanno sensibilmente manomesso la spazialità interna di questo “contenitore” piegandola alle nuove e più contemporanee funzionalità, in barba a tutti i canoni del Restauro. Sono certo che anche stavolta (alla luce dell’esiguo carteggio a disposizione) vedremo un prodotto che attirerà molti strali.

Il progetto funzionale del Complesso Museale di Monreale (PA)


Intanto mi domando se verranno utilizzate le enormi strutture impiantistiche abbandonate sotto l’Antivilla e delle quali nessuno conosce perfettamente il funzionamento. Rifletto sul posizionamento finale della Galleria Sciortino e della donazione Posabella, come sulla sua integrazione nell’intero circuito museale. Non per ultimo mi preoccupano le capacità gestionali della ipotetica società che curerà il bene monumentale. Sono più che certo che alla lunga inizieranno pesanti diatribe e recriminazioni sulla redditività del museo che non staccherà il giusto numero di biglietti per garantire personale e investimenti.



Ancora prima di arrivare a tale genere di problemi, occorre intervenire leggendo già gli attuali fenomeni in atto e svegliarsi nel comprendere la necessità di collegamenti a rete nell’offerta culturale globale, nella attrattività stessa che oggi la Galleria riesce a esprimere, nei collegamenti fisici tra Monreale e Palermo. 
A chi si chiede cosa bisogna fare quando non ci sono fondi si potrebbe rispondere con i fatti, ma c’è da dire che un politico non ama mai i tecnici e gli esperti, perché lavorano secondo la logica precipua e rigorosa del profitto culturale. Io mi metterei in gioco semplicemente mutuando il principio teorizzato e applicato in logiche industriali: Impegnarsi sul fronte della Qualità Totale. Un principio di certo estraneo ai miei amici assessori della cittadina normanna, amanti della presenza video di memoria wharoliana e che si sottopongono a produzioni “alla Frank Capra de noialtri”.

Assolutamente impensabile perché non trovo giustificazioni ad una strategia comunicativa paleolitica da “super8” adatta forse per un sottocanale di Youtube realizzato da tredicenni glabri. Di che parlo allora? E’ una filosofia che scardina la logica dei vetusti ordinamenti militari prussiani con decisioni a cascata. 

Razionalizzare, ancora per molti, equivale a disciplinare, gestire sembra sinonimo di sorvegliare. Le direttrici sarebbero autogenerate nel tentare di agevolare in primo luogo il flusso verso il “servizio” sia nel senso fisico, che per la curiosità dell’offerta culturale proposta (si spera improntata verso una rigenerazione della forma comunicativa).

L’ipotetico responsabile al tavolo di regia dovrebbe sforzarsi di capire la reale incidenza dei servizi offerti sull’ambiente circostante, sulla vita quotidiana della città, le relazioni che verrebbero generate e le percezioni che saremmo in grado di generare e in funzione di tutto ciò elaborare vere e proprie strategie “produttive” o di offerta. 
Componente fondamentale sarà quella umana, del personale all’interno della struttura, il quale dovrebbe pensare sempre in termini di sfida quotidiana a medio e lungo termine. 
Un po' come si fa dentro grandi aziende come Google, mai statiche, ma che elaborano in continuazione in uno scenario interno creativo e di febbricitante di novità. Ricercare prima e sviluppare poi le “competenze” (skills) del personale da occupare in una sede di lavoro di questo genere è importante. Operando soprattutto secondo una strettissima logica meritocratica e curricolare. 

L’approccio a una Qualità Totale avrebbe due aspetti fondamentali: da un lato il fronte della produttività, fornendo un servizio ritagliato sul target medio (opportunamente profilato) e dall’altro la capacità adeguata per essere in grado di offrire una esperienza emozionale di qualità.
Io ho le idee chiare, non sarebbe facile, ma almeno ho una precisa strada da seguire, certo che i risultati potrebbero essere tangibili efficaci e misurabili nelle fruttuose ricadute per l’intera cittadina.


Il precorso della narrazione museale


venerdì 7 agosto 2015

Cura e mantenimento dei Beni Culturali

Ci siamo chiesti più volte in seno alla nostra Redazione del perché portare avanti determinate cause e della validità delle nostre tesi, per tale ragione oggi non stilerò un articolo di indignazione ma un “bignami”, una sintesi riduttiva in cui cercherò di argomentare una tesi: perché chiudere il perimetro intorno al Duomo, al complesso Guglielmo e alle piazze è un dovere sociale, un fatto storico, una necessità e una istanza di vivibilità generale.


A primo acchito potrebbe sembrare una provocazione, ma non lo è: potreste pensare che siamo dei retrogradi conservatori che con cieca ostinazione rifiutano di vivere una città del terzo millennio, ma non è così. La storia - e le architetture che parlano di essa - merita rispetto, chiede cura, riverenza, lentezza.

Ma quanti di noi, spostandosi dal Duomo verso la piazza, si sforzano di immedesimarsi nello spazio in cui ci si muove, chi riesce ad immaginare quale fosse il tipo di vita all’epoca della fondazione della prestigiosa basilica e la dimensione urbana intorno al complesso benedettino?
Vivevano dei monaci, poche maestranze e uno sparuto gruppo di persone, lo spostamento per i sentieri in terra battuta era di certo segnato con modello urbano imponente ma ad una dimensione molto umana direi quasi del tutto contemplativa.

Qui il mio disappunto: che rispetto abbiamo oggi di questo lascito?

Viceversa oggi troviamo schiere di persone pronte ad imbracciare un fucile se gli si imbratta il muro di casa, ma se poi a livello generale “tutti” contribuiamo al degrado del Comune Bene chi sarebbe pronto a fare fuoco?

Il concetto equivale a fare la rappresentazione del cittadino medio di oggi: abbiamo gente che deve scorrere veloce su tutto, depredando immagini con azioni che non si chiamano più foto, ma selfie, cibandosi di patatine congelate e non di crocchè e panelle in stile street food siciliano, invece questi spazi gridano silenzi, lentezze, hanno dentro millenari racconti, sono scrigni in cui la luce è guida dello spirito. Sono le stesse ragioni per le quali la gente ascolta la musica “truzza” e non vuole più fermarsi a cercare di capire la musica più antica. Cercare non è più un piacere, non si vuole più pazientare, né tantomeno faticare e tutto ciò che impedisce questo è assolutamente secondario.

Sono pensieri del genere che ci fanno mettere le cartucce a pallettoni su queste pagine.

Altri ricordi vagano per la mente: a chi serve tutto il lavoro fatto dall’architetto Girolamo Naselli Flores e da Maria Andaloro?
Non posso dimenticare quante volte proprio l’architetto Naselli profetizzasse ostinatamente che lo scavo della cripta sotto la Sala San Placido stesse danneggiando l’assetto del Chiostro adiacente e dopo la sua morte infatti le arcate dovettero essere puntellate.
Adesso il gioco si fa duro, perché guardiamo ai manuali di chimica per arrivare ad altre affermazioni giusto perché è con un pò di fatica che vi farò arrivare alla pedonalizzazione della città.

La prima affermazione è banale: il duomo è realizzato con delle “pietre”. Tali elementi lapidei immobili, indifesi non reagiscono al mutare delle condizioni esterne perché non sono esseri umani che si riparano dagli eventi atmosferici. Cosa accade però nell’atmosfera di un microclima cittadino attraversato da auto e non più da cavalli e carretti? Di seguito vi elenco pedissequamente solo pochi dei tanti fenomeni di degrado rilevabili nei nostri monumenti.
Intanto andiamo incontro ad una progressiva azione di Solfatazione delle rocce.
L’anidride solforosa esistente nell’atmosfera si ossida trasformandosi in anidride solforica, che con acqua piovana dà acido solforico, secondo la seguente reazione:
SO2 + O  = SO3   SO3 + H2O   = H2SO4
In presenza di calcare si ha la rapida fissazione dell’anidride nelle pietre in presenza di catalizzatori (polvere, carbone, ossidi di vanadio e ferro, ecc) o anche di veicoli biologici, che sono sempre presenti nelle croste delle pietre e nello smog.
L’acido solforico attacca i calcari trasformandoli in solfati, cioè in gesso, quindi in un prodotto solubile, secondo la reazione:
H2SO4 + CaCO3     CaSO4 + H2O + CO2
Detto in parole molto semplici il “marmo diventa gesso”. 


Nelle pietre ciò si rileva per il distacco di scaglie giallastre dalle superfici lapidee, dovute all’aumento di volume del gesso bagnato; la caduta di tali scaglie rivela ampi crateri ben visibili e se guardaste con attenzione rischiereste di notare parecchi fenomeni di questo tipo.
Avete idea di quanto marmo sia presente nel Duomo? E nel Chiostro?

Un processo di carbonatazione dei materiali avviene tramite l’azione dell’acido carbonico, ottenuto dalla combinazione di acqua e anidride carbonica: CO2 + H2O  H2CO3.
Si tratta di un acido debole, ad azione lenta, che solubilizza il materiale calcareo attraverso la reazione: CaCO3 + H2CO3  =  Ca (HCO3)2 , dove il carbonato di calcio, combinato con l’acido carbonico, dà luogo al bicarbonato di calcio, solubile in acqua.

Tradotto in parole più semplici le pietre diventano Bicarbonato come quello che utilizzate a casa per curare il bruciore di stomaco!

La presenza di acqua acida è responsabile anche dell’alterazione dei materiali silicatici (pietre arenarie, tufi vulcanici, graniti, vetro e componenti silicatici dei materiali artificiali). Le reazioni attivate conducono alla solubizzazione o alla cosiddetta “argillificazione” e avvengono mediante la sostituzione degli ioni di idrogeno, contenuti nell’acqua acida, con ioni che fanno parte del reticolo cristallino del materiale, ad esempio ioni potassio o sodio.
Per non parlare del lungo elenco delle alterazioni fisiche che si attuano mediante sforzi di carico e sollecitazioni, anche a livello molecolare. Spesso si presentano delle tensioni da carico con deformazioni piùo meno reversibili sino ad arrivare alla rottura dell’elemento sollecitato.

La gelività e i relativi fenomeni di variazione di volume che accompagnano il passaggio di stato da liquido a solido provocano notevoli danni e degradi.
La stessa acqua già inquinata che entra nell’elemento lapideo provoca la formazione di una soluzione liquida in cui i sali vengono condotti dall’esterno all’interno del materiale. La conseguente evaporazione consente la cristallizzazione di questi sali e il danneggiamento del materiale. 
Gli effetti dovuti alla cristallizzazione si diversificano in funzione della velocità di evaporazione dell’acqua; se questa è superiore alla velocità migratoria della soluzione entro il materiale, la cristallizzazione avverrà all’interno del muro e produrrà tensioni sulle pareti dei pori (subflorescenza). Se invece l’acqua evapora più lentamente e la soluzione ha la possibilitàdi risalire in superficie, la cristallizzazione dei sali apporterà unicamente danni di tipo estetico (efflorescenza). La crescita di volume dei cristalli in senso parallelo alla parete comporterà il distacco del materiale, in senso ortogonale provocherà fenomeni di corrugamento superficiale.

Un altro effetto molto negativo e comune alla maggior parte delle strutture architettoniche, soprattutto, in ambiente urbano è dovuto alla presenza di volatili apparentemente innocui. Il guano prodotto dagli uccelli è infatti una fonte di sali solubili molto pericolosi, soprattutto nitrati, e costituisce con la sua parte organica un ottimo substrato per lo sviluppo di funghi e batteri. A questi effetti dannosi di tipo chimico, biologico, va aggiunto il danno estetico prodotto dalla presenza del guano, che certo non è meno importante dei precedenti.
Dobbiamo dunque temere la perdita netta di materiale definita “erosione”, che si verifica soprattutto nelle zone esposte all’azione dilavante della pioggia, “l’annerimento” o sporcamento determinato dal deposito delle particelle carboniose sulla superficie dei nostri monumenti, che si verifica invece nelle zone protette dalla pioggia e altresì paventare “lo stress fisico” (determinato da fattori climatici e microclimatici), unito alle vibrazioni trasmesse dal costante e intenso traffico veicolare.

Ad oggi non possiamo determinare correttamente l’influenza del particolato sullo stato di conservazione del nostro Patrimonio Unesco, al fine di avere elementi utili bisognerebbe conoscere i dati di concentrazione degli inquinanti, la loro composizione chimica. 
La comprensione dei meccanismi di deposizione del particolato si basa inoltre sulla conoscenza dei parametri termoigrometrici, che permette di valutare quello che viene definito l’indice di stress fisico, che tiene conto dell’interazione termica e dell’umidità tra ambiente e materiale.

Lo sporcamento dipende anche dal contenuto di acqua negli strati superficiali del materiale; infatti, esso favorisce l’aumento dell’efficienza di cattura da parte di una superficie bagnata, causando un maggiore deposito degli inquinanti presenti in atmosfera.
Potevo continuare impinguando questa dissertazione con vari trattati, ma vi rimanderò alla breve bibliografia di supporto cui ho fatto riferimento per la parte più scientifica e di approccio metodologico.

Le considerazioni finali vanno a individuare la tematica centrale di partenza secondo cui non è sostenibile un approccio alla molteplicità monumentale, espressa dalle emergenze architettoniche, sulla base di un saccheggio continuo e di un uso indiscriminato degli spazi. Per tutta la serie di motivazioni inerenti il rischio continuo e incessante dovute all’aggressione chimica di cui sopra, e in secondo luogo perché è necessario cercare di imporre uno stile di vita in cui i monumenti siano occasione di progettualità e non di malintesa urbanistica.


Qui ci si improvvisa, circondati da politicanti troppo provinciali e non da politici, nel rabberciare soluzioni e nel dimostrare una profonda immensa inadeguatezza culturale.
Bisogna leggere la città segmentando i livelli di analisi dal piccolo elemento a quello più macroscopico e complesso, si dovrebbe agire in considerazione della unicità e della irripetibilità dei temi che si presentano, proponendo un restauro urbano, urbanistico e ambientale diretti al fine della conservazione dei valori culturali presenti.

Salvatore Boscarino parla di intervenire nei centri storici secondo logiche non dettate da pure economie di profitto (uso privato e irrispettoso di qualunque natura), ma vede “necessaria la ricerca di condizioni non tecnocratiche o industrializzate, indirizzate su una scala di interventi di piccola dimensione da perseguire possibilmente con la presenza degli abitanti”.
Ci suggerisce in pratica di ridefinire il rapporto con la storia partendo dalla scala di quartiere per arrivare a quella più grande, cercando il consenso della popolazione, perchési possa guadagnare una dimensione urbana e storica ormai dimenticata.

Eliminare totalmente il traffico auto equivale a preservare la caratteristica delle architetture esistenti, significa riconoscere l’istanza estetica che corrisponde al fatto basilare dell’essere “opera d’arte”, per cui il monumento viene riconosciuto tale e il preservare la fisicità dei beni garantisce la loro trasmissione al futuro.

Il valore storico di un monumento è tanto più alto quanto più si apprezza il grado in cui si manifesta lo stato originale e concluso del monumento o in questo caso del complesso urbano, pertanto: se la mèta è la conservazione ne consegue che una Amministrazione seria non possa consentire che i taxi passino sotto l’Arco degli Angeli, che le piazze siano il raduno serale dell’automobil club e della chincaglieria turistica, ciò equivarrebbe a vandalizzare l’immagine del Cristo Pantocratore.

BIBLIOGRAFIA
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lunedì 3 agosto 2015

Dal terreno emergono i brani di un antico Convento

Nel corso del 2014, sulla scorta delle pregresse esperienze (nel 2008 e nel 2011 con le quali sono stati sostenuti 21 progetti, per un'erogazione complessiva di 8 milioni di euro)", la Fondazione per il Sud "ha pubblicato una terza edizione del Bando per la valorizzazione del patrimonio storico-artistico e culturale nelle regioni meridionali, con l'obiettivo di promuovere e valorizzare l'uso 'comune' dei beni culturali, e permetterne un'ampia fruibilita' da parte della collettività. Rispetto alle precedenti edizioni, la Fondazione ha deciso di adottare una procedura inedita, che svincola la proprietà dell'immobile con la progettualità che in esso sarà sviluppata, prevedendo due fasi distinte".
Si tratta di beni per l'80% di proprietà di Enti Pubblici (76% Comuni), un 10% appartiene ad Enti Ecclesiastici, il restante rientra nella categoria Ville e palazzi storici, seguono luoghi di culto, castelli e fortezze, beni archeologici, beni di archeologia industriale e spazi di altra natura. Dei 221 beni proposti la Fondazione ne ha selezionati quattordici.  Cinque di questi in Sicilia: Villa Manganelli a Zafferana Etnea (Catania), Chiesa della Madonna della Raccomandata a Sciacca (Agrigento), Castello di Federico II a Giuliana (Palermo), 
Padiglione 10 e Padiglione 20 dei Cantieri culturali alla Zisa di Palermo. Nel corso della II fase dell'iniziativa, "gli immobili selezionati hanno partecipato al bando vero e proprio, che si e’ chiuso il 14 luglio, rivolto alle no profit del territorio per identificare le migliori proposte di interventi socio-culturali, economicamente sostenibili e capaci di favorirne la piena fruizione da parte della collettività mettendo a disposizione 4 milioni di euro”.
Ovviamente la nostra città non ha partecipato in alcun modo poiché non abbiamo alcuna notizia in merito né tantomeno vi sono candidature, del resto basta andare sul seguente sito e vedere il dettaglio dell’iniziativa (http://ilbenetornacomune.it).
Non parleremo adesso però del Castello di Federico II a Giuliana, ma di un altro bene sottratto invece del tutto all’uso comune e per giunta alla Memoria. Gli esperti del settore sono costretti a ricordarci delle cose e quando qualche settimana fa il consigliere Manuela Quadrante mi mostrò alcune foto a sorpresa. Io le dissi immediatamente di cosa si trattasse. Inoltre le persone della mia generazione che hanno avuto anche la fortuna di conoscere il lascito e la persona del professore Schirò, hanno memoria dell’ex Convento dei frati Cappuccini.
Una nota del Siusa (Sistema informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche n.d.r.) riporta che “I Cappuccini furono chiamati a Monreale nel 1580 dal cardinale Ludovico I Torres e si distinsero, per la loro vigorosa attività di culto e assistenza agli ammalati ed ai bisognosi. Dal 1662 il convento diventa luogo di studio dell'Ordine, dotato anche di una Biblioteca. Inoltre, il Comune si serviva dei Cappuccini per distribuire le elemosine. Dopo la legge di soppressione delle corporazioni religiose (R.D. n. 3036/1866) il convento venne incamerato e destinato a carcere mandamentale. La chiesa rimase aperta al culto e la Biblioteca assegnata al Comune”.



Oggi questo brandello di Monastero è venuto alla luce per scongiurare il pericolo degli incendi estivi a ridosso dell’ex seminario che ospita il Liceo Basile. E se dobbiamo dirla tutta il convento venne demolito proprio per fare spazio a tale orribile bubbone verde. Vediamo oggi i resti abbandonati di una cappella con affreschi molto deteriorati e che era certamente scomparsa dalla memoria della popolazione.
Dovremmo quindi promuovere operazioni che colleghino la salvaguardia del territorio e delle sue emergenze favorendo al tempo  percorsi di coesione sociale per lo sviluppo. Mi chiedo se sia giusto instillare ogni volta sentimenti di indignazione per incitare “a fare”.
Mi sconvolge il fatto di non trovare il disegno di una politica di lungo termine che cogliendo i tanti spunti riesca a strutturare politiche di sviluppo autopoietiche. Esistono fondazioni che sostengono centinaia di progetti “esemplari”, coinvolgendo migliaia di associazioni, cooperative, scuole, università, fondazioni, istituti ed enti, pubblici e privati, cittadini, soprattutto giovani.
Basterebbe un po' di sana fatica per allargare lo sguardo e condividere anche altre buone pratiche avviate, nel sociale, tentando di provocare innovazione nei processi di comunicazione sociale. E occasioni per la salvaguardia e la connessione di beni culturali possono stimolare nuove e valide forme di impresa che ad oggi non partono e non sono incoraggiate. 
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mercoledì 29 luglio 2015

Il massimo ribasso e i grandi pericoli nei cantieri

Oggi vi racconterò una verità a molti scomoda e sgradita anche se sotto gli occhi di tutti.
L’assunto è basato sul fatto che l’ignoranza sia il peggiore dei mali, e ciò porta alla stoltezza comportamentale al danno, al pericolo sociale e alla irreversibilità delle azioni. 
Parlo di come sia percepito che il costruire appartenga ad una cultura  appannaggio e  dominio di tutti e pertanto alla portata di chiunque. 

Niente di più sbagliato e di più ingannevole. E’ lo stesso motivo per cui sorgono mille problemi con gli operai che (pur essendo bravissime persone) hanno problemi a definire contratti, a realizzare preventivi dettagliati e circoscritti, a sottoporre agli specialisti le criticità dei progetti su cui dovranno intervenire e a conoscere la molteplicità di materiali in commercio utili a risolvere le innumerevoli casistiche presenti nei cantieri.



Il cuore della questione è nella capacità di formarsi, sostenendo i costi di tale sforzo e nella fatica di doversi mettere in discussione ogni giorno. 
In questa sede scenderemo sulla scottante tematica della Sicurezza in Edilizia perché  in un tempo in cui la crisi economica sfianca la popolazione gli investimenti per garantire la vita stessa degli operatori del settore è avvertita come superflua e fastidiosa come una tassa da evadere a tutti i costi. 
La velocità del cambiamento del mercato, delle tecnologie e delle variabili intorno a noi richiede tempi di reazione estremamente contratti; l’innovazione comporta una revisione del ruolo dell’esperienza a risposta meccanica, che rischia di entrare in azione a prescindere dall’analisi di realtà qui e ora, portando con sé materiali arcaici che possono risultare da ostacolo, freno e resistenza al cambiamento necessario e rischiano di divenire pericolosi piuttosto che delle opportunità.
Quanto più infatti l’innovazione continua è diffusa e profondamente interiorizzata, tanto più un progetto di innovazione non sconvolge la routine e innovare è nella nostra accezione sinonimo di “attivazione di processi di sicurezza” e formazione sui materiali.

La formazione in merito alla sicurezza sul lavoro è da sempre elemento fondamentale nel lungo processo di avvicinamento alla consapevolezza ed alla capacità da parte del lavoratore di prendersi cura della propria salute sul luogo di lavoro.
Anche la normativa, a partire dalla Costituzione per arrivare al D.Lgs. n. 626 del 1994, ha individuato nella formazione uno degli obblighi fondamentali ribadendo questo concetto anche nel  D.Lgs. 81/08.
Ci appare chiaro che per essere realmente “efficace”, deve poter modificare le capacità sul campo, in modo da rendere il lavoratore consapevole dei necessari comportamenti che possano garantire una reale sicurezza sul luogo di lavoro.
Invece tutto ci parla del contrario, perché nessun condominio monterebbe una linea vita per assicurare il semplice antennista mentre posiziona un cavo sul tetto. 
Cosa significa “Formazione” se non Agire sul saper fare e dunque Incrementare in termini quantitativi e qualitativi le abilità richieste per svolgere una determinata attività. Addestrare le persone a non avere comportamenti rischiosi ed esporsi al pericolo. 

Io ricordo lo strazio per la perdita di uomini che cercavano di lavorare ripristinando dei balconi dall’esterno dei condomini e che si sono trovati schiantati a terra a causa di evidenti problemi (in via di accertamento) con i mezzi di elevazione in quota. 



Ma penso alla gente che scivola nei cantieri, a chi perde piano piano l’udito perché non gli saranno mai forniti dei banalissimi tappi auricolari, a chi respira fumi inquinanti e cancerogeni quando smonta a caldo le lastre di guaine bituminose tanto amate e presenti in tutte le case. 
Morti lente e decadimenti, accentuati da comportamenti per nulla sicuri.  
Le colpe sono certamente dei titolari di impresa, ma i corresponsabili sono i medici competenti che firmano, per piccole parcelle,  tanti pezzi carta, le colpe sono di coloro i quali preparano  Documenti di Valutazione del Rischio senza avere conoscenze specifiche e approfondite o che le hanno ma non se le fanno giustamente retribuire.


Sono colpe enormi di tanti soggetti messi insieme, comunque il primo grande assassino è colui il quale affida un lavoro e vuole solamente risparmiare pretendendo un lavoro fatto bene. 
E’ la logica del massimo ribasso che uccide la società e che spregiudicatamente fa vittime innocenti. 

venerdì 12 giugno 2015

Il Duomo Sfregiato e il problema degli interventi conservativi


Francesco Gandini  in “Viaggi in Italia”pubblicato già a Cremona nel 1835 ci narra parlando del Cattedrale di Monreale che “un accidentale incendio consumò agli 8 dicembre del 1811 una parte del Duomo  che a grandi spese è già stata rifatta; i travi caduti piombarono sopra i due sepolcri, uno in porfido rosso di Guglielmo I e l’altro in marmo di Guglielmo II;…”
Che diranno le Guide di domani? E che riporteranno in merito all’accaduto?
La furia dei fulmini si è abbattuta sulla lanterna della cupola absidale e ha divelto l’elemento sommitale che si è piombato sulla strada causando danni fortunatamente solo a cose.
Eppure questa volta non c’è stato l’intervento di un sindaco allertato dalla Protezione Civile o dai Prefetti allarmato da una probabile “Allerta Meteo”
Già dal basso si poteva apprezzare, a tempesta avvenuta, che il manto di copertura non era particolarmente danneggiato ma più che altro si tratta di un piccolo sfregio al volto del nostro Duomo.
La copertura della lanterna pertanto potrà essere ripristinata con un intervento semplice, non troppo oneroso, con modesta attenzione.
Inoltre lavorando secondo il principio della “anastilosi” alla  Giovannoni, si potrà ricostruire anche la sfera lapidea che svettava all’apice grazie al recupero delle parti ritrovate lungo la via arcivescovado e raccolte dalle maestranze della Fabbriceria.
Non c’è stato innesco e propagazione di fiamme come nel 1811, ma evidentemente le forti vibrazioni sonore (tuoni)  hanno innescato un processo di riverbero acustico all’interno del catino absidale generando il distacco di qualche tessera musiva.
Quest’ultimo episodio ovviamente non compromette l’integrità dell’insieme, ma potrebbe pregiudicare la solidità dell’intero rivestimento poiché per l’appunto si parla di “patto sodale” tra le piccole parti vetrose tenute sul muro da una vecchia malta peraltro spesso poco coerente e umidiccia.
Se non ricordo male era la fine degli anni ottanta quando si lavorava al mantenimento del tessuto musivo e sotto la gestione dell’Arcivescovo Cassisa arrivarono i fondi per il restauro delle travi lignee e per la disinfestazione delle colonie di termiti che operavano un attacco xilofago alle parti in legno.
Aspettiamo con ansia che l’occhio della Soprintendenza ai Beni Culturali volga a noi il suo benevolo sguardo e che, allarmata, si attivi per una concreta azione di analisi e manutenzione.
Non per ultimo, questo evento, dovrebbe fare oltremodo riflettere su un  Patrimonio  costituito da una serie di emergenze storiche molto trascurate e in vero stato di abbandono in quanto prive di manutenzione e di semplice cura.
Madonna dell'Orto - Monreale (PA)

Penso alla chiesa dell’Odigitria o  alla chiesa della Madona dell’Orto per citarne solo due, ma non vorrei nemmeno vedere restauri in grado di annullare le tracce della tanto ricercata “patina dell’antico” (cfr. Morris e Brandi per citare due scuole di pensiero)
Registro delle aberrazioni  progettuali quando ancora nel 2015 devo vedere apposta sulla tavolatura in legno dei tetti di edifici ecclesiastici guaine bituminose che ostacolano il normale flusso igrometrico a causa della assoluta incapacità di saper scegliere a livello progettuale quali materiali riescano a garantire la vita degli elementi lignei.guainaIl problema della condensazione del vapor d’acqua, sia che avvenga sulle superfici delle strutture, sia che avvenga all’interno delle stesse, rappresenta un rischio sotto un duplice aspetto: quello legato alla conservazione delle strutture e quello legato alla salubrità degli ambienti.
Non è raro infatti imbattersi nella formazione di muffe, o assistere alla disgregazione di intonaci e murature proprio a causa dei fenomeni suddetti, pertanto non sto qui a sottolineare quanto degrado si possa provocare in ambienti di pregio storico in cui il danno diviene irreversibile.
Allo stesso modo non mi piacerebbe trovare - a ponteggi smontati - accostamenti cromatici inventati e posticci che urlano sia per l’impiego di materie prime troppo contemporanee che per l’improvvida esperienza di maestranze poco avvezze alla sacralità del restauro.